giovedì 27 novembre 2008

In ricordo di Franco Spinosi - 9



(Vedi il preambolo dedicato a
Franco Spinosi sul post n. 1)

Dalla Collana „Le Perle”:

LEOPARDI: Pensieri

Copyright by Franco Spinosi Editore
Editrice La Sfinge


Io ho lungamente ricusato di creder vere le cose che diro’ qui sotto, perche’, oltre che la natura mia era troppo rimota da esse, a che l’animo tende sempre a giudicare gli altri da se medesimo, la mia inclinazione non e’ stata mai d’odiare gli uomoni, ma di amarli. In ultimo l’esperienza quasi violentemente me le ha persuase: e sono certo che quei lettoti che si troveranno aver praticato come gli uomini molto e in diversi modi, confesseranno che quello ch’io sono per dire e’ vero; tutti gli altri lo terranno per esagerato, finche’ l’esperienza, se mai avranno occasione di veramente fare esperienza della societa’ umana, non lo ponga loro dinanzi agli occhi.

Nelle cose occulte vede meglio sempre il minor numero, nelle palesi il maggiore. E’ assurdo l’addurre quello che chiamano consenso delle genti nelle quistioni metafsiche: del qual consenso non si fa nessuna stima nelle cose fisiche, e sottoposte ai sensi; come per esempio nella quistione del movimento della terra, e in mille altre. Ed all’incontro e’ temerario, pericoloso, ed, al lungo andare, inutile, il contrastare all’opinione del maggior numero nelle materie civili.

La morte non e’ male: perche’ libera l’uomo da tutti i mali e insieme coi beni gli toglie i desideri. La vecchiezza e’ male sommo: perche’ priva l’uomo di tutti i piaceri, lasciandogliene gli appetiti; e porta seco tutti i dolori. Nondimeno gli uomini temono la morte, e desiderano la vecchiezza.

La maggior parte delle persone che deputiamo a educare i figliuoli, sappiamo di certo non essere state educate. Ne’ dubitiamo che non possano dare quello che non hanno ricevuto, e che per altra via non si acquista.

V’e’ qualche secolo che, per tacere del resto, nelle arti e nelle discipline presume di rifar tutto, perche’ nulla sa fare.

Non sarebbe piccola infelicita’ degli educatori, e soprattutto dei parenti, se pensassero, quello che e’ verissimo, che i loro figliuoli, qualunque indole abbiano sortita, e qualunque fatica, diligenza e spesa si ponga in educarli, coll’uso poi del mondo, quasi indubitabilmente, se la morte non li previene, diventeranno malvagi. Forse questa risposta sarebbe piu’ valida e piu’ ragionevole di quella di Talete, che dimandato da Solone perche’ non si ammogliasse, rispose mostrando le inquietudini dei genitori per gl’infortuni e i pericoli de’ figliuoli. Sarebbe, dico, piu’ valido e piu’ ragionevole lo scusarsi dicendo di non volere aumentare il numero dei malvagi.

Come le prigioni e le galee sono piene di genti, al dir loro, innocentissime, cosi’ gli uffizi pubblici e le dignita’ d’ogni sorte non sono tenute se non da persone chiamate e costrette a cio’ loro mal grado. E’ quasi impossibile trovare alcuno che confessi di avere o meritato pene che soffra, o cercato ne’ desiderato onori che goda: ma forse meno possibile questo, che quello.

Io vidi in Firenze uno che strascicando, a modo di bestia da tiro, come cola’ e’ stile, un carro colmo di robe, andava con grandissima alterigia gridando e comandando alle persone di dar luogo; e mi pare figura di molti che vanno pieni d’orgoglio, insultando agli altri, per ragioni non dissimili da quella che causava l’alterigia in colui, cioe’ tirare un carro.

Assai difficile mi pare a decidere se sia o piu’ contrario ai primi principii della costumatezza il parlare di se’ lungamente e per abito, o piu’ raro un uomo esente da questo vizio.

Nessuno e’ si’ compiutamente disingannato del mondo, ne’ lo conosce si’ addentro, ne’ tanto l’ha in ira, che guardato un tratto da esso con benignita’, non se gli senta in parte riconciliato; come nessuno e’ conosciuto da noi si’ malvagio, che salutandoci cortesemente, non ci apparisca meno malvagio che innanzi. Le quali osservazioni vagliono a dimostrare la debolezza dell’uomo. Non a giustificare ne’ i malvagi ne’ il mondo.

Nessun maggior segno d’essere poco filosofo e poco savio, che volere savia e filosofica tutta la vita.

Il genere umano e, dal solo individuo in fuori, qualunque minima porzione di esso, si divide in due parti: gli uni usano prepotenza, e gli altri la soffrono. Ne’ legge ne’ forza alcuna, ne’ progresso di filosofia ne’ di civilta’ potendo impedire che uomo nato o da nascere non sia o degli uni o degli altri, resta che chi puo’ eleggere, elegga. Vero e’ che non tutti possono, ne’ sempre.

Come suole il genere umano, biasimando le cose presenti, lodare le passate, cosi’ la piu’ parte de’ viaggiatori, mentre viaggiano, sono amanti del loro soggiorno nativo, e lo preferiscono con una specie d’ira a quelli dove si trovano. Tornati al luogo nativo, colla stessa ira lo pospongono a tutti gli altri luoghi dove sono stati.

In ogni paese i vizi e i mali universali degli uomini e della societa’ umana, sono notati come particolari del luogo. Io non sono mai stato in parte dov’io non abbia udito: qui le donne sono vane e incostanti, leggono poco, e sono male istruite; qui il pubblico e’ curioso de’ fatti altrui, ciarliero molto e maldicente; qui i danari, il favore e la vilta’ possono tutto; qui regna l’invidia, e le amicizie sono poco sincere; e cosi’ discorrendo; come se altrove le cose procedessero in altro modo. Gli uomini sono miseri per necessita’, e risoluti di credersi miseri per accidente.

Gl’ingannatori mediocri, e generalmente le donne, credono sempre che le loro frodi abbiano avuto effetto, e che le persone vi sieno restate colte: ma i piu’ astuti dubitano, conoscendo meglio da un lato le difficolta’ dell’arte, dall’altro la potenza, e come quel medesimo che vogliono essi, cioe’ ingannare, sia voluto da ognuno; le quali due cause ultime fanno che spesso l’ingannatore riesce ingannato. Oltre che questi lati non istimano gli altri cosi’ poco intendenti, come suole immaginarli chi intende poco.

I giovani assai comunemente credono rendersi amabili, fingendosi malinconici. E forse, quando e’ finta, la malinconia per breve spazio puo’ piacere, massime alle donne. Ma vera, e’ fuggita da tutto il genere umano; e al lungo andare non piace e non e’ fortunata nel commercio degli uomini se non l’allegria: perche’ finalmente, contro a quello che si pensano i giovani, il mondo, e non ha il torto, ama non di piangere, ma di ridere.

In alcuni luoghi tra civili e barbari, come e’, per esempio, Napoli, e’ osservabile piu’ che altrove una cosa che in qualche modo si verifica in tutti i luoghi: cioe’ che l’uomo riputato senza danari, non e’ stimato appena uomo; creduto denaroso, e’ sempre in pericolo della vita. Dalla qual cosa nasce, che in si’ fatti luoghi e’ necessario, come vi si pratica generalmente, pigliare per partito di rendere lo stato proprio in materia di danari un mistero; acciocche’ il pubblico non sappia se ti dee disprezzare o ammazzare; onde tu non sii non quello che sono gli uomini ordinariamente, mezzo disprezzato e mezzo stimato, e quando voluto nuocere e quando voluto stare.

Molti vogliono e condursi teco vilmente, e che tu ad un tempo, sotto pena del loro odio, da un lato sii tanto accorto, che tu non dia impedimeno alla loro vilta’, dall’altro non li conoschi per vili.

Nessuna qualita’ umana e’ piu’ intollerabile nella vita ordinaria, ne’ in fatti tollerata meno, che l’intolleranza.

Cosa odiosissima e’ il parlar molto di se’. Ma i giovani, quanto sono piu’ di natura viva, e di spirito superiore alla mediocrita’, meno sanno guardarsi da questo vizi: e parlano delle cose proprie con un candore estremo, credendo per certissimo che chi ode, le curi poco meno che le curano essi. E cosi’ facendo, sono perdonati; non tanto a contemplazione dell’inesperienza, ma perche’ e’ manifesto il bisogno che hanno d’aiuto, di consiglio e di qualche sfogo di parole alle passioni onde e’ tempestosa la loro eta’. Ed anco pare riconosciuto generalmente che ai giovani si appartenga una specie di diritto di volere il mondo occupato nei pensieri loro.

Uomini insigni per probita’ sono al mondo quelli dai quali, avendo familiarita’ con loro, tu puoi, senza sperare servigio alcuno, non temere alcun disservigio.

L’uomo e’ condannato o a consumare la gioventu’ senza proposito, la quale e’ il solo tempo di far frutto per l’eta’ che viene, e di provvedere al proprio stato; o a spenderla in procacciare godimenti a quella parte della sua vita, nella quale egli non sara’ piu’ atto a godere.

Quanto sia grande l’amore che la natura ci ha dato verso i nostri simili, si puo’ comprendere da quello che fa qualunque animale, e il fanciullo inesperto, se si abbatte a vedere la propria immagine in qualche specchio; che, credendola una creatura simile a se’, viene in furore e in ismanie, e cerca ogni via di nuocere a quella creatura e di ammazzarla. Gli uccellini domestici, mansueti come sono per natura e per costume, si spingono contro allo specchio stizzosamente, stridendo, colle ali inarcate e col becco aperto, e lo percuotono; e la scimmia, quando puo’, lo gitta in terra, e lo stritola co’ piedi.

Diceva Bione, filosofo antico: e’ impossibile piacere alla moltitudine, se non diventando un pasticcio, o del vino dolce. Ma questo impossibile, durando lo stato sociale degli uomini, sara’ cercato sempre, anco da chi dica, ed anco da chi talvolta creda di non cercarlo: come, durando la nostra specie, i piu’ conoscenti della condizione umana, persevereranno fino alla morte cercando felicita’, e promettendosene.

Una donna e’ derisa se piange di vero cuore il marito morto, ma biasimata altamente se, per qualunque grave ragione o necessita’, comparisce in pubblico, o smette il bruno, un giorno prima dell’uso. E’ assioma trito, ma non perfetto, che il mondo si contenta dell’apparenza. Aggiungasi per farlo compiuto, che il mondo non si contenta mai, e spesso non si cura, e spesso e’ intollerantissimo della sostanza. Quell’antico si studiava piu’ d’esser uomo da bene che di parere; ma il mondo ordina di parere uomo da bene, e di non essere.

La schiettezza allora puo’ giovare, quando e’ usata ad arte, o quando, per la sua rarita’, non l’e’ data fede.

Gli uomini si vergognano, non delle ingiurie che fanno, ma di quelle che ricevono. Pero’ ad ottenere che gl’ingiuriatori si vergognino, non v’e’ altra via, che di rendere loro il cambio.

I timidi non hanno meno amor proprio che gli arroganti; anzi piu’, o vogliamo dire piu’ sensitivo; e percio’ temono: e si guardano di non pungere gli altri, non per istima che ne facciano maggiore che gli insolenti e gli arditi, ma per evitare d’esser punti essi, atteso l’estremo dolore che ricevono da ogni puntura.

Dice il La Bruyere una cosa verissima; che e’ piu’ facile ad un libro mediocre di acquistar grido per virtu’ di una riputazione gia’ ottenuta dall’autore, che ad un autore di venire in riputazione per mezzo di un libro eccellente. A questo si puo’ soggiungere, che la via forse piu’ diritta di acquistar fama, e’ di affermare con sicurezza e pertinacia, e in quanti piu’ modi e’ possibile, di averla acquistata.

Uscendo dalla gioventu’, l’uomo restava privato della proprieta’ di comunicare e, per dir cosi’, d’ispirare colla presenza se’ agli altri; e perdendo quella specie di influsso che il giovane manda ne’ circostanti, e che congiunge questi a lui, e fa che sentano verso lui sempre qualche sorte d’inclinazione, conosce, non senza un dolore nuovo, di trovarsi nelle compagnie come diviso da tutti, e intorniato di creature sensibili poco meno indifferenti verso lui che quelle prive di senso.

Il primo fondamento dell’essere apparecchiato in giuste occasioni a spendersi, e’ il molto apprezzarsi.

Il concetto che l’artefice ha dell’arte sua o lo scienziato della sua scienza, suol essere grande in proporzione contraria al concetto ch’egli ha del proprio valore nella medesima.

Nessuna compagnia e’ piacevole al lungo andare, ne non di persone dalle quali importi o piaccia a noi d’esser sempre piu’ stimati. Percio’ le donne, volendo che la loro compagnia non cessi di piacere dopo breve tempo, dovrebero studiare di rendersi tali, che potesse essere desiderata durevolmente la loro stima.

Nulla e’ piu’ raro al mondo, che una persona abitualmente sopportabile.

Rivedendo in capo di qualche anno una persona ch’io avessi conosciuta giovane, sempre alla prima giunta mi e’ paruto vedere uno che avesse sofferto qualche grande avventura. L’aspetto della gioia e della confidenza non e’ proprio che della prima eta’; e il sentimento di cio’ che si va perdendo, e delle incomodita’ corporali che crescono di giorno in giorno, viene generando anche nei piu’ frivoli o piu’ di natura allegra, ed anco similmente nei piu’ felici, un abito di volto ed un portamento, che si chiama grave, e che per rispetto a quello dei giovani e dei fanciulli, veramente e’ tristo.

Se quei pochi uomini di valor vero che cercano gloria, conoscessero ad uno ad uno tutti coloro onde e’ composto quel pubblico dal quale essi con mille estremi patimenti si sforzano di essere stimati, e’ credibile che si raffredderebbero molto nel loro proposito, e forse che l’abbandonerebbero. Se non che l’animo nostro non si puo’ sottrarre al potere che ha nell’immaginazione il numero degli uomini: e si vede infinite volte che noi apprezziamo, anzi rispettiamo, non dico una moltitudine, ma dieci persone adunate in una stanza, ognuna delle quali da se’ reputiamo di nessun conto.

Il piu’ certo modo di celare agli altri i confini del proprio sapere, e’ di non trapassarli.

Chi viaggia molto, ha questo vantaggio dagli altri, che i soggetti delle sue rimembranze presto divengono remoti; di maniera che esse acquistano in breve quel vago e quel poetico, che negli altri non e’ dato loro se non dal tempo. Chi non ha viaggiato punto, ha questo svantaggio, che tutte le sue rimembranze sono di cose in qualche parte pesenti, poiche’ presenti sono i luoghi ai quali ogni sua memoria si riferisce.

Chi comunica poco cogli uomini, rade volte e’ misantropo. Veri misantropi non si trovano nella solitudine, ma nel mondo; perche’ l’uso pratico della vita, non e’ gia’ la filosofia, e’ quello che fa odiare gli uomini. E se uno che sia tale, si ritira dalla societa’, perde nel ritiro la misantropia.

Io conobbi gia’ un bambino il quale ogni volta che dalla madre era contrariato in qualche cosa, diceva: ah, ho inteso, ho inteso: la mamma e’ cattiva. Non con altra logica discorre interno ai prossimi la maggior parte degli uomini, benche’ non esprima il suo discorso con altrettanta semplicita’.

Chi t’introduce a qualcuno, se vuole che la raccomandazione abbia effetto, lasci da canto quelli che sono tuoi pregi piu’ reali e piu’ propri, e dica i piu’ estrinseci e piu’ appartenenti alla fortuna. Se tu sei grande e potente nel mondo, dica grande e potente; se ricco, dica ricco; se non altro che nobile, dica nobile: non dica magnanimo, ne’ virtuoso, ne’ costumato, ne’ amorevole, ne’ altre cose simili, se non per giunta, ancorche’ siano vere ed in grado insigne. E se tu fossi letterato, e come tale fossi celebre in qualche parte, non dica dotto, ne’ profondo, ne’ grande ingegno, ne’ sommo; ma dica celebre: perche’, come ho detto altrove, la fortuna e’ fortunata al mondo, e non il valore.

L’uomo onesto, coll’andar degli anni, facilmente diviene insensibile alla lode e all’onore, ma non mai, credo, al biasimo ne’ al disprezzo. Anzi la lode e la stima di molte persone egregie non compenseranno il dolore che gli verra’ da un motto o da un segno di noncuranza di qualche uomo da nulla. Forse ai ribaldi avviene il contrario; che, per essere usati al biasimo, e non usati alla lode vera, a quello saranno insensibili, a questa no, se mai per caso ne tocca loro qualche saggio.

Gli anni della fanciullezza sono, nella memoria di ciascheduno, quasi i tempi favolosi della sua vita; come, nella memoria delle nazioni, i tempi favolosi sono quelli della fanciullezza delle medesime.

Le lodi date a noi, hanno forza di rendere stimabili al nostro giudizio materie e facolta’ da noi prima vilipese, ogni volta che ci avvenga di essere lodati in alcuna di cosi’ fatte.

L’astuzia, la quale appartiene all’ingegno, e’ usata moltissime volte per supplire la scarsita’ di esso ingegno, e per vincere maggior copia del medesimo in altri.

Grande studio degli uomini finche’ sono immaturi, e’ di parere uomini fatti, e poiche’ sono tali, di parere immaturi. Oliviero Goldsmith, l’autore del romanzo The Vicar of Wakefield, giunto all’eta’ di quarant’anni, tolse dal suo indirizzo il titolo di dottore; divenutagli odiosa in quel tempo tale dimostrazione di gravita’, che gli era stata cara nei primi anni.

L’uomo e’ quasi sempre tanto malvagio quanto gli bisogna. Se si conduce dirittamente, si puo’ giudicare che la malvagita’ non gli e’ necessaria. Ho visto persone di costumi dolcissimi, innocentissimi, commettere azioni delle piu’ atroci, per fuggire qualche danno grave, non evitabile in altra guisa.

E’ curioso a vedere che quasi tutti gli uomini che vagliono molto, hanno le maniere semplici; e che quasi sempre le maniere semplici sono prese per indizio di poco valore.

Un abito silenzioso nella conversazione, allora piace ed e’ lodato, quando si conosce che la persona che tace ha quanto si richiede ed ardimento e attitudine a parlare.

Chilone, annoverato fra i sette sapienti della Grecia, ordinava che l’uomo forte di corpo, fosse dolce di modi, a fine, diceva, d’ispirare agli altri piu’ riverenza che timore. Non e’ mai soverchia l’affabilita’, la soavita’ di modi, e quasi l’umilta’ in quelli che di bellezza, o d’ingegno o d’altra cosa molto desiderata nel mondo, sono manifestamente superiori alla generalita’: perche’ troppo grave e’ la colpa della quale hanno a impetrar perdono, e troppo fiero e difficile il nemico che hanno a placare; l’una la superiorita’, e l’altro l’invidia. La quale credevano gli antichi, quando si trovavano in grandezze e in prosperita’, che convenisse placare negli stessi Dei, espiando con umiliazioni, con offerte o con penitenze volontarie il peccato appena espiabile della felicita’ o dell’eccellenza.

Quello che si dice comunemente, che la vita e’ una rappresentazione scenica, si verifica soprattutto in questo, che il mondo parla costantissimamente in una maniera, ed opera costantissimamente in un’altra. Della quale commedia oggi essendo tutti recitanti, perche’ tutti parlano a un modo, e nessuno quasi spettatore, perche’ il vano linguaggio del mondo non inganna che i fanciulli e gli stolti, segue che tale rappresentazione e’ divenuta cosa compiutamente inetta, noia e fatica senza causa. Pero’ sarebbe impresa degna del nostro secolo quella di rendere la vita finalmente un’azione non simulata ma vera, e di conciliare per la prima volta al mondo la famosa discordia tra i detti e i fatti. La quale, essendo i fatti, per esperienza oramai bastante, conosciuti immutabili, e non convenendo che gli uomini si affatichino piu’ in cerca dell’impossibile, resterebbe che fosse accordata con quel mezzo che e’, ad un tempo, unico e facilissimo.

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