I nostri giovani non possono certo conoscere, se non raccontate, le vicissitudini e la povertà del nostro dopoguerra. Oggi c'è il diritto-dovere dell'istruzione ed è normale prassi per quasi tutti i bambini, andare a scuola almeno fino ai 14 anni, cioè la licenza di terza media, poi si decide se continuare a studiare o intraprendere un mestiere.
Sessanta anni fa, una volta finite le elementari, se i genitori ne avevano la possibilità, facevano continuare gli studi ai loro figli, altrimenti questi ultimi venivano avviati subito al lavoro. Ed erano già fortunati perché molti bambini iniziavano a lavorare senza aver mai visto un banco di scuola. Nella mia Sicilia, allora – e nel Sud in generale – povertà e analfabetismo camminavano quasi sempre appaiati.
Molti genitori trovavano la soluzione al problema, mandando in collegio il bambino che aveva finito le elementari. Si adduceva la scusa della vocazione sacerdotale e il gioco era fatto. E vocazioni ce n'erano tante, almeno quanto la povertà! Penso che un buon 40% di questi alla fine diventavano preti, gli altri si perdevano per strada. Mentre da noi, oggi, la crisi delle vocazioni è all'apice, la Chiesa adesso fa proseliti nei Paesi poveri del mondo.