venerdì 13 giugno 2014

Bilancio di otto anni di Bulgaria seconda patria

Il 13 giugno è sempre stato, nella mia vita, un giorno particolare, una data che rimane impressa nel tempo. Mi chiamo Antonio e si potrebbe pensare al mio giorno onomastico, perché oggi si festeggia S. Antonio da Padova, ma non è così perché – pur accettando gli auguri di tanti amici – tengo sempre a precisare che io festeggio S. Antonio Abate, che cade il 17 gennaio, il santo protettore degli animali ma anche patrono di Burgio, la mia città natale (a dire il vero chiamare Burgio città è un po’ esagerato perché è solo un piccolo paesino della Sicilia, ma oggi sembra si debbano chiamare città anche i villaggi, per darsi più importanza). A parte questo piccolo inciso, il 13 giugno del 1956 è stato il primo giorno lavorativo della mia vita, quando – cacciato via dal collegio – mi ritrovai improvvisamente e provvidamente, a 15 anni ancora da compiere, a guadagnarmi da vivere, in una città chiamata Roma, con un orario fuori dagli schemi sindacali: 12 ore di notte, dalle 19 di sera alle 7 della mattina, ma viaggiando in autobus quotidianamente per andare a Nettuno, praticamente i miei dormitori per sei mesi, dove abitavano i miei parenti più prossimi. Per Nettuno, infatti, mi avevano fatto il biglietto i responsabili del collegio, dove avevo gli zii, che erano anche i parenti più prossimi. Poi decisi di trasferirmi a Roma.
Esattamente 50 anni dopo, il 13 giugno del 2006, lasciandomi dietro le storie di una vita fatta di lavoro, di amori e di affetti, di vittorie e sconfitte, di gioie e dolori, iniziava per me una vita nuova, vita da pensionato, che avrei vissuto in un Paese ancora sconosciuto, ma nel quale ero fermamente convinto di restare per il resto dei miei giorni. E così oggi sono già trascorsi otto anni, e come in ogni anniversario che si rispetti, mi ritrovo a fare un bilancio e un veloce ripasso di questo periodo che potrebbe sembrare breve quando si hanno venti o trent’anni ma che diventa lunghissimo quando l’età incalza e si vive nell’incerta sorte che il Padreterno giornalmente ci elargisce.
Ricordo i pensieri confusi che vorticavano nel mio cervello quando finalmente dall’Italia raggiungemmo Mokrishte, piccolo paesino confinante con Pazardjik. L’unico conforto l’accoglienza festosa dei genitori di Stoyan e i sorrisi dei vicini, curiosi di vedere un italiano trasferirsi armi e bagagli in uno sperduto villaggio della Bulgaria, loro abituati ad emigrare per poter sfamare la famiglia. Poi il giorno dopo conoscere Pazardjik, città provincia di circa 75.000 abitanti, tranquilla e quasi sonnolenta, città ideale per me che mi trascinavo lo stress di una vita romana diventata insopportabile, ma che si presentava al turista o al nuovo arrivato in una continua alternanza di vecchio e nuovo, come reduce da un bombardamento e relativa rapida ricostruzione. Ecco, così mi si è presentata la prima volta Pazardjik. Ma passati i primi giorni, legati ancora ai ricordi di una Roma difficile da dimenticare, ho cominciato ad apprezzare tutto quello che mi girava intorno, soprattutto la serenità e il sorriso di gente che possedeva solo quello. E l’alternarsi di caffè alla moda luccicanti di stigliature e morbide poltrone ove consumare lentamente un caffè, con carretti trainati da cavalli, condotti da zingari sporchi e scuri, seguiti da luccicanti Suv ed eleganti e costose automobili a far da contrappeso a una fila di capre che un vecchietto riportava a casa dal pascolo, mi dava la sensazione strana di tornare indietro nel tempo con improvvisi riverberi di realtà.
Il 2007 è stato l’anno della svolta per Pazardjik e per l’intera Bulgaria. L’ingresso nell’Unione Europea è stata la pietra miliare di un percorso che la Bulgaria si apprestava a percorrere insieme a me. Da quell’anno molte cose sono cambiate e gli aiuti europei hanno dato e stanno dando la spinta decisiva all’ingresso nel consumismo e una svolta anche nel modo di pensare e operare dei bulgari. Tutto questo non mi consola, perché dovrei imbattermi in tutto ciò che di negativo ho lasciato in Italia, ma penso che non ne avrò il tempo, perché quando succederà avrò lasciato il mio posto ad altri. Nel frattempo godo di quello che di buono in questi anni si è fatto e si continua a fare per migliorare la città e le condizioni di vita dei suoi abitanti. Mi accorgo che in otto anni la città è stata trasformata, grazie all’Europa e alla buona amministrazione del sindaco Popov, e in chiunque la visita lascia la piacevole sensazione di una città a misura d’uomo, vivibile e soprattutto luogo ideale per viverci. Stiamo cambiando anche noi italiani, perché da tanti piccoli segnali, mi accorgo che ci stiamo lentamente bulgarizzando, si fanno nuove conoscenze e nuove amicizie, la lingua, pur ostica, inizia a diventare più familiare, iniziamo a vedere intorno a noi dei concittadini e si allontana l’autoemarginazione che nasce dalla paura dell’ignoto.
Dall’ottobre del 2013, poi, alcuni servizi Rai e Mediaset sui pensionati italiani in Bulgaria, hanno fatto esplodere il fenomeno, per cui ci troviamo al centro dell’attenzione dei media, in Italia, per una esplorazione prima seguita da un possibile trasferimento subito dopo, di molti pensionati che in Italia vanno sempre più alla deriva. Per questo motivo è cambiata, inconsapevolmente, anche la mia vita, perché quelle che erano le mie giornate quasi languide, passate tra computer, televisione e qualche passeggiata, sono improvvisamente diventate iperattive, trovandomi costretto caratterialmente a rispondere a una valanga di e-mail di connazionali disperati che vorrebbero partire il giorno dopo, guidare e far da cicerone informatore per quelli che fisicamente si presentano e vogliono sapere, vedere, conoscere…com’è la sanità bulgara, quanto è il costo della vita, se la pensione la possiamo riscuotere qui, se si può cambiare la patente, se è vero che qui possiamo riscuotere la pensione lorda, se possiamo targare in Bulgaria l’automobile, se abbiamo un Patronato… mille domande alle quali spesso non si possono dare mille risposte, perché le informazioni che abbiamo le abbiamo apprese anche noi nel tempo nei vari forum su internet, perché le istituzioni invece di aiutarti, ricopiano anche qui quello che succede in Italia, e cioè ti mettono tanti paletti da farti fare il percorso ad ostacoli, rasentando talora il sadismo…
Oggi siamo molti di più di otto anni fa, quando mi sentivo veramente un esule, e tanti altri stanno arrivando, traendo beneficio dalle nostre esperienze… Se devo tirare le somme, posso dire che il bilancio è nettamente positivo, così che chiunque mi scrive e mostra l’intenzione di volersi trasferire qui, non posso che consigliarlo di osare il grande passo, penso ne valga la pena…

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1 commento:

  1. Mi rivedo perfettamente in te Antonio, fin dagli anni della mia infelice infanzia; a quand’ero in collegio, Convitto Nazionale, per la precisione a Sessa Aurunca nel casertano, e qui la mia poesia:
    IL COLLEGIO

    Nel buio con la mente a cercar fantasmi

    di un passato lontano ormai che non c’è più;

    pallide e squallide ombre rivedo apparir

    come in un film nella mia mente turbata.

    L’orologio batte il tempo impietoso,

    son le due, in questa lunga notte d’insonnia;

    penso a quand’ero bambino, in collegio,

    e l’orologio scandir l’ore nella notte solitaria.

    Sento ancor il silenzio della campagna

    e un nodo in gola nel mistero della notte;

    le mie lacrime bagnavano il cuscino,

    complice della mia segreta disperazione.

    Quante notti ho rivissuto quella solitudine

    in un paese che non era il mio;

    strappato infame, dalla mia casa paterna,

    dai miei affetti più cari, più teneri.

    E mi addormentavo così nella notte, piangendo…

    confortato dai rintocchi di una campana lontana;

    avrei voluto forse non svegliarmi mai più

    e uscir dal carcer di quel fatale destino.

    Questa notte son qui, lontano da quel luogo,

    eppure ho il cuore che batte al ricordo di allora.

    Mai manderei i miei figli in collegio…

    Direi al destino: “Ho sofferto io, anche per loro!”

    Corrado Pavone
    Napoli, 30/12/2000

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